LeImpertinenti#14: “L’Abbaglio”

Il film con protagonista Toni Servillo, Ficarra e Picone, inizierebbe con l’illusione di offrire buone possibilità di riuscita ma poi cade rovinosamente nei più banali stereotipi di superficialità, perciò galleggia almeno per un’oretta e si fa qua e là cullare dalle onde dell’interpretazione mai banale di Toni Servillo, e probabilmente da una delle migliori apparizioni del duo siciliano. Non a caso, recitano per lo più nella loro lingua natia, particolare da non sottovalutare se vi vuole restituire verità al proprio lavoro. Bravi, bisogna dirlo. Ottima l’interpretazione, come sempre del resto, di Tommaso Ragno nel ruolo di Garibaldi.

Interessante la possibilità di esplorare non la storia in sé del generale sbarcato in Sicilia nel Maggio del 1860, a seguito dei Mille, ma di esplorare le vicissitudini di personaggi comprimari. La storia regge, ma il film stenta a decollare. Nei più conosciuti e canonici manuali di sceneggiatura si coglie il punto principale della vicenda subito o, quantomeno, dopo poco. Risulta banale e scontato il meccanismo che porta il duo siciliano a scappare per poi essere ripreso. Sarà presuntuoso scriverlo e affermarlo, ma si era capito non dall’inizio, bensì dalla locandina.

D’altra parte, titolo e dialoghi vanno di pari passo nel seguire l’inclinazione scontata dello sviluppo della trama.

Nel 1987 usciva al cinema Le vie del Signore sono finite, benché il titolo fosse perfettamente aderente al tema trattato e, al tempo stesso, al genio di Massimo Troisi. Spiegato in pochissime mosse: un Dio che ha strade e possibilità sconfinate esaurisce il suo credito di fronte al propagarsi di un male assoluto come quello del fascismo. Se c’è il fascismo, non ci sono vie del Signore che tengano. Genio. 10+. Non occorre guardare il film, prego lasciare, il danaro al botteghino e ringraziare. Troisi aveva già vinto. Nonostante questo, incastra una trama meravigliosa, tra la spiegazione plastica della vita sotto il regime fascista e le dinamiche sociali e familiari, senza il benché minimo respiro di critica, quale che sia la condizione psico-fisica del singolo individuo, anzi, a maggior ragione, proprio per quest’ultima.

In questo caso, tornando al nostro film (ci scuserete per il parallelismo, ma era importante), Andò continua a dimostrare di non essere Scola, anche se vorrebbe tanto ma… a mio personale parere, anche e soprattutto dopo La Stranezza, resiste il pensiero di regista sopravvalutato.

Quando si ha a disposizione la totale disponibilità di attori del calibro di coloro già citati a inizio articolo, e si tralasciano i particolari quali:
1 – Colonna sonora – Sempre uguale, superficiale, riconoscibile, già sentita, a sottile margine tra la fiction Rai e un doveroso accompagnamento, perché qualcuno ha fatto sapere che la musica si deve mettere. In questi casi ci domandiamo sempre cosa direbbero Sergio Leone e Morricone, che sul binomio regista-compositore / immagini-musica ci hanno confezionato la storia del cinema italiano, ancora invidiata e cercata, maldestramente, di imitare in tutto il mondo.
2 – I movimenti della macchina da presa e il posizionamento di quest’ultima – Premono sul tasto del banale. Sempre per fare un paragone: quando Sorrentino è stato chiamato per realizzare speciali teatrali Rai, ha fatto vedere cosa è in grado di fare a teatro, per poi volare al cinema (piaccia o non piaccia, non si può dire che Sorrentino non sappia osare con la macchina da presa). Andò ha idee interessanti scenograficamente, vedi la chiesa abbandonata dove alcuni ragazzi cantano inneggiando alla liberazione della Sicilia, ma poi, una volta che la macchina entra, sono tutti fermi, bloccati come statue (come all’ingresso dei mille a Sambuca), con inquadrature soporifere. A teatro, Andò ha lo stesso problema. Ricordo La Tempesta, qualche anno fa, per la produzione del Teatro Biondo di Palermo, con l’acqua in scena e due grandi attori, tra tutti Carpentieri e Filippo Luna, e poi? Poi spettacolo soporifero.
3 – La sceneggiatura – Dialoghi descrittivi, scene telefonate, come quelle delle vedove e mamme disposte nella stessa modalità dei pecorari di cui sopra, con casse da morto perfettamente simmetriche, e la volontà di far vedere come in Sicilia si teatralizza il pianto dei e sui morti, esagerando fino a perdere di credibilità sul dolore. Il punto è che io sono siciliano, io ho visto donne anziane piangere i morti, e pur capendo cosa vuole fare Andò, trovo che lo faccia male. Ma talmente male da cercare una cosa e ottenerne totalmente un’altra. Per capirci: quella scena pecca di talento nel vedere che la maggior parte delle attrici in primo piano non sono brave, pecca di presunzione nel dare in pasto al pubblico qualcosa che, per forza di vedute, si distacca e non crea quella che Aristotele descrive nelle regole stilistiche della tragedia e dell’epica. Caro Andò, dove sono la mimesi e la catarsi? Esiste in commercio quel libro ed è anche abbastanza famoso. Ai ragazzi del DAMS (o università simili) viene sottoposto per conseguire un esame e poi discutere una tesi in merito. Mi piacerebbe poterne discutere insieme, per capire cosa ci è sfuggito da quella lettura.
La scena in cui Servillo incontra i fatiscenti mafiosi? Deludente. Non spiega niente, non coglie il senso, diventa una parodia. E sarebbe interessante rispondere al seguente quesito: questo film deve far ridere o deve far piangere? Riflettere o rilassare? Alleggerire o appesantire? Il problema è quando ci si ritrova al punto di dover mettere sul tavolo queste odiose domande. Nessun autore, regista, attore dovrebbe trovarsi di fronte a queste domande. Se qualcuno le pone, vuol dire che non ha scelta, poiché viene pervaso da un senso profondo di vuoto inconcludente.
4 – Quando comincia il film? – Dopo la prima ora e venti abbiamo aperto tante piccole finestre. Torneranno? A cinema, come a teatro, se fai vedere qualcosa e la utilizzi, vuol dire che è importante. Se per un’ora e mezza abbiamo scoperto quali sono i riempitivi (vedi cavalcate di Servillo più o meno in su e giù per tutta la Sicilia), belle… molto belle… ma verso dove? Perché? Vedi l’abilità di Valentino Picone di essere un baro: porta a qualcosa? Vedi la zoppia di Salvo Ficarra: serve a qualcosa? Per rispondere…le ultime due delle tre, sul finale per un banale utilizzo.


5 – Le scene di battaglie e guerriglia – Per come sono state girate e raccontate, non dubito che il giorno dopo la prima proiezione i seguaci di Pino Aprile siano quintuplicati. Nonostante il regista in questione sia in ottima compagnia, lo scorso anno ho trovato infatti ignobile e truffaldino il furto a me perpetrato nell’atto del pagamento del biglietto di Napoleon. Resta il fatto che l’accuratezza tenuta in queste scene denota la non capacità di capire che tipo di film e di racconto voleva fare Roberto Andò. Non sarebbe stato meglio il famoso “Lo dimo”?

“C’è stata la battaglia di Calatafimi, eravamo meno, ma abbiamo vinto”. Perché e per come. Forse si sarebbe creato più pathos (anche questo possiamo trovarlo nel libro denominato Poetica). Così facendo, io credo fermamente sia stata una farsa. Allora, forse, il titolo è sbagliato. La Farsa mi avrebbe convinto di più.
6 – Che fine hanno fatto i comprimari nel cinema? – Un tempo, anche se la scena prevedeva una parola, uno sguardo, trovavi grandi attori. Ora vediamo questa volontà malsana delle comparse, pescate qua e là, di voler a tutti i costi apparire. Troppi. Molti. Voluminosi gruppi di persone, messe a caso per tutto il film, non in grado di spiccicare una parola che sia una. Vogliamo parlare dei volti dei signori di Salemi, non concordi con la spartizione delle terre, con la camera che li pesca per descriverne e spiegarne il pensiero? Anche qui… avremmo preferito qualcuno che ci parlasse di ciò che ha visto, perché altrimenti tocca a noi vedere gesti improbabili, volti ed espressioni sbagliate, superficiali, inutili. L’espressione giusta è forse un’altra: un tumulto di scene ridicole.
7 – Conclusioni – L’esercito borbonico, con persone probabilmente arruolate in Italia, parla solo francese? È credibile? Ovvero: i soldati facenti parte di quell’esercito, che è stato formato nelle terre dominate per secoli, provengono non dalla Campania, Calabria o Sicilia… ma dalla Francia? La figura dei briganti che si allea o si oppone all’avanzata di Garibaldi, che fine ha fatto? La banalità più grande, come sempre, è il contributo ministeriale. Come fanno questi film a passare per storici o utili alla cultura non si saprà mai. Di fronte a un fatto storico di tale portata, non si può e non si deve raccontare in maniera imparziale quello che realmente è successo. La storia secondo cui l’Italia doveva e voleva essere unificata non è una cartolina da giornalino per bambini, a figure colorate dei buoni e dei cattivi. Il dubbio, o perlomeno la certezza, non devono e non possono stare di casa in una vicenda che ha avuto i canoni di una vera e propria guerra civile. Rimaniamo totalmente perplessi dalla riuscita di questo film e profondamente dispiaciuti dell’occasione mancata.

A margine anche il finale non ha senso, slegato dal resto del film sembra che il film precedente con gli stessi protagonisti continui, ma qui non c’è più Pirandello e se già quel finale aveva molto lasciato a desiderare questo a dir poco ed essere eleganti, ci lascia annichiliti e senza parole a prova di un bambino di cinque anni.

Marco Giavatto

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