L’Argante #114 || La solitudine dei numeri primi: la tragica storia di Justin Fashanu.

La tragica storia di Justin Fashanu. Il primo giocatore professionista a fare coming-out, inizia la mattina del 3 maggio 1998 Justin Fashanu non è quel ragazzo talentuoso, inglese di nascita e africano di origini, che la comunità di colore aveva elevato a proprio simbolo sportivo e non solo. Non è più la giovane promessa che il calcio d’oltremanica aveva visto in lui appena venti anni prima, quando il Norwich city aveva deciso di sottoporlo al primo contratto da professionista, ad appena diciassette anni. Non è più nemmeno il primo giocatore di colore britannico a essere valutato un milione di sterline.

La mattina del 3 maggio 1998, Justin Fashanu semplicemente non è più. Quella mattina il suo corpo viene trovato, esanime, appeso con un filo elettrico al soffitto di un garage abbandonato dell’East End londinese. Nella tasca dei pantaloni un biglietto di addio vorrebbe spiegare le ragioni della sua ultima, tragica scelta:

“Desidero dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina lui mi ha chiesto denaro. Quando io ho risposto ‘no’ mi ha detto ‘aspetta e vedrai’. Spero che il Gesù che amo mi accolga. Troverò la pace, infine”.

Nel marzo dello stesso anno un ragazzo di nome Ashton Woods aveva accusato “Fash” di violenza sessuale. Il contenuto degli ultimi pensieri di “1£ soccer star” è eloquente a riguardo. La sua dichiarata innocenza sarà confermata dall’assoluzione per mancanza di prove, sostenuta peraltro dal resoconto lacunoso dei fatti del giovane.

La vita di Justin Fashanu, tuttavia, non è stata rotta di colpo da quell’evento controverso, ma assume piuttosto la forma di una parabola discendente di cui quegli ultimi drammatici mesi raccontano solamente il capolinea. Fash è un giovane attaccante. Un attaccante forte. Con i Canaries mostra sin da subito al mondo ciò che sa fare meglio: segnare. 40 gol in tre anni, di cui uno al Liverpool, bellissimo, gli vale il riconoscimento di più bel gol dell’anno. I tabloid cominciano a parlare di lui, la nazionale under-21 gli concede un’occasione appena un anno dopo il debutto tra i professionisti. L’ascesa è tanto repentina quanto inattesa è la velocità con cui tocca il suo apice. Nell’estate del 1981 arriva la grande occasione. Il Nottingham Forrest si fa avanti per lui. I Tricky Trees sono una delle squadre più forti al mondo (due volte campioni d’Europa, nel 1979 e nel 1980), allenati da Sir. Brian Clough, tra i più bravi in circolazione. Fash si trasferisce a titolo definitivo all’ombra della foresta di Sherwood, ereditando il numero nove di Trevor Francis, l’eroe delle due recentissime coppe campioni. Quel trasferimento lo renderà il primo giocatore di colore a toccare la soglia del milione di sterline di valutazione. Tutto sembra girare davvero per il verso giusto per Fash. Ma c’è un problema.

Fash è omosessuale, e la sua carriera sembra ormai essere cresciuta di pari passo con l’insostenibilità del segreto che è costretto a custodire. Di giorno si mostra al campo di allenamento e alla “vita pubblica” con una ragazza avvenente, proprio come il buon costume di calciatore di successo vorrebbe. Sono anni difficili per il Regno Unito, del resto. Sono gli anni delle tensioni sociali. Gli anni degli hooligans, della guerra delle Falkland, del governo della “Lady di ferro”, la conservatrice Margaret Thatcher. Ma sono anche anni di voglia di riscatto, di libertà e di vita. Londra è il fulcro della vita notturna, dove capita che di sera si esibiscano gli Spandau Ballet, i Duran Duran e gli Eurythmics, tra gli altri. In quelle notti si ha la percezione di potersi sentire davvero se stessi. In quelle notti il mondo gay comincia a prendere consapevolezza e a uscire allo scoperto, seppur ancora all’ombra delle luci dell’alba e nonostante l’imperversare dell’HIV. In quelle notti Fash frequenta i locali gay. Pretende di farlo lontano da occhi indiscreti ma non finge di nasconderlo, in fondo. Tanto che le voci sulle sue “abitudini” notturne cominciano a circolare sui tabloid inglesi.

I sospetti trovano conferme e Justin viene scaricato proprio da chi avrebbe forse potuto e sicuramente dovuto proteggerlo. Il fratello maggiore John, anch’egli giocatore professionista, decide di recidere i rapporti con Fash. Ma in questo periodo della vita di Justin sono le tensioni con l’allenatore Brian Clough a incrinare la sua carriera verso il baratro. L’allenatore del Nottingham proprio non riesce a sopportare le indiscrezioni che circolano sul conto del giovane. La carriera dell’allenatore di Middlesbrough porterà per sempre con sé, oltre ai grandi successi sportivi, una macchia indelebile per la gestione di tutta quella faccenda. Fash viene messo ai margini della squadra. Fash viene di continuo umiliato dal suo allenatore. Sarà Clough stesso, nella sua autobiografia, a testimoniare la gravità delle vessazioni fatte subire al ragazzo nelle sessioni di allenamento, davanti a tutti i suoi compagni:

“Dove vai se vuoi una pagnotta?” Gli chiede un giorno Clough.

“Da un fornaio, immagino” Risponde Justin.

“Dove vai se vuoi una coscia d’agnello?”

“Da un macellaio”.

“E allora perché continui ad andare in quei cazzo di locali per froci?”

 

Non che in campo le cose vadano meglio. Le prodigiose prestazioni sono ormai merce rara e gli hooligans delle squadre avversarie lo prendo continuamente di mira. Fash ha solo vent’anni. E ama il calcio, forse più della sua stessa vita. Si spinge persino a rinnegarla, questa sua vita. Tenta disperatamente di ricucire il rapporto con Clough, lo vuole convincere della sua eterosessualità, e così gli presenta una ragazza come sua futura sposa. La situazione non fa che peggiorare. Clough è tutto meno che un ingenuo, si sente preso in giro e lo scarica definitivamente. La sua avventura al Nottingham, la sua grande occasione, finisce con un’uscita dal campo di allenamento – in cui da settimane si allenava da solo – scortato da due poliziotti.

 

 

La carriera di Justin assume le forme di un viaggio alla continua ricerca di riscatto: otto squadre in otto anni, con una parentesi negli Stati Uniti, dove la sua omosessualità giunge a un grado di consapevolezza tale da non poter essere più tenuta nascosta. “£1M soccer star: I am gay”. Così il tabloid “The Sun” apre la prima pagina dell’edizione del 22 ottobre 1990. Fash ha definitivamente deciso di venire allo scoperto, e ha deciso di farlo attraverso un’intervista rilasciata al periodico britannico. Tante cose sono cambiate in dieci anni, da quando gli scandali sulle sue frequentazioni notturne avevano invertito completamente il corso della sua carriera. Gli accostamenti a squadre di caratura mondiale quali Manchester United e Arsenal sono ormai un lontano ricordo. Questi dieci anni non solo hanno annientato tutte le ambizioni professionali, ma hanno intaccato la dignità di un ragazzo che si è fatto uomo.

Le speranze però sono ancora quelle di un ragazzo ingenuo. Un ragazzo che spera che il nuovo decennio possa portare con sé un vento di libertà, integrazione e comprensione. Non sarà così. L’impatto di quell’intervista nell’opinione pubblica britannica copre Fash di umiliazione. Il risultato è solamente ulteriore emarginazione. La stessa comunità nera prende le distanze da Justin, visto come “un danno d’immagine… patetico e imperdonabile”. Vere e proprie “fake news” raccontano di tresche amorose con personaggi pubblici, tanto per alimentare l’alone di scandalo attorno al ragazzo. Tra queste, una in particolare lo vede coinvolto nel 1994 nella morte per asfissia autoerotica del parlamentare scozzese Stephen Milligan. Nei momenti critici della sua vita Fash è sempre stato scaricato, lasciato affogare nella calunnia, e anche questa volta gli Hearts di Edimburgo, per cui gioca, lo licenziano per “comportamento disonorevole”. Gli ultimi anni della sua sfortunata carriera scorrono secondo tonalità di grigio. Nel 1998, quando dà addio al calcio giocato, Fash non è più un ragazzo da tanto tempo. E nemmeno un uomo, svuotato com’è nell’anima di ogni dignità. Fash è un infelice.

Il 19 febbraio del 2020, quello che sarebbe stato il giorno del suo cinquantanovesimo compleanno, il nome di Justin Fashanu viene inserito nella Hall of Fame del calcio inglese. Un atto che ovviamente non può restituire a Fash la sua vita, ma che forse gli riconosce almeno in parte ciò che avrebbe voluto e potuto essere se non gli fosse stata negata l’identità di uomo, un grande calciatore. Ha provato fino all’ultimo, Fash, a essere un uomo. Fino all’ultimo istante ha cercato qualcuno che lo capisse, che lo sostenesse, che lo amasse. La sera del 2 maggio 1998, John riceve una telefonata. Dall’altro lato della cornetta non sente pronunciare parola. Avverte solo un respiro ansioso. Lo riconosce. Fash lo ha chiamato nel tentativo di riconciliarsi con il mondo a cui si sente legato, il mondo che mai lo ha riconosciuto. John in quel drammatico momento rappresenta per lui quello in cui ha cercato di specchiarsi per tutta la vita: significa famiglia, in quanto fratello, significa fratellanza, in quanto nero, significa passione, in quanto calciatore. John risponde. Seguono solo lunghi istanti di silenzio prima che riattacchi, seccato.

 

Ruggero Roni

 

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