Una vita controcorrente quella di Giuseppe “Peppino” Impastato nato a Cinisi il 5 gennaio 1948, da una famiglia legata alla mafia locale (Il Padre, perlomeno discorso diverso mamma Felicia che vedremo più avanti). Fin da giovane, si distacca dalle radici familiari per intraprendere un percorso di attivismo politico e culturale. Dopo la morte dello zio mafioso Cesare Manzella, esploso in un attentato nel 1963, Peppino matura una profonda avversione verso Cosa Nostra, decidendo di combatterla apertamente.
Negli anni ’60 e ’70, partecipa attivamente a movimenti politici di sinistra, come Lotta Continua e Democrazia Proletaria. Si impegna nelle lotte dei contadini espropriati per la costruzione dell’aeroporto di Palermo e fonda il circolo “Musica e Cultura”, promuovendo attività culturali e politiche nel suo paese natale.
Radio Aut
Nel 1977, Peppino fondò Radio Aut, una radio libera autofinanziata con sede a Terrasini, trasmettendo sulla frequenza 98.800 MHz. La radio diventata un potente strumento di denuncia contro la mafia e la politica collusa. La trasmissione più celebre era “Onda Pazza”, in cui Peppino utilizzava la satira per smascherare i crimini e gli affari loschi dei mafiosi locali, in particolare del boss Gaetano Badalamenti, soprannominato ironicamente “Tano Seduto”.
Attraverso Radio Aut, Peppino dichiarava: «La mafia è una montagna di merda», frase che divenne emblematica della sua lotta. La sua voce libera e coraggiosa rompeva il silenzio omertoso che avvolgeva la Sicilia, ispirando molti giovani a ribellarsi contro l’oppressione mafiosa.
La notte del 9 maggio 1978, Peppino fu assassinato. Il suo corpo trovato dilaniato lungo la ferrovia Palermo-Trapani, con una carica di tritolo posta sotto di esso. Le prime indagini, condotte dal colonnello dei Carabinieri Antonio Subranni, ipotizzarono un suicidio o un attentato fallito da parte dello stesso Peppino. Questa versione fu subito contestata dalla madre Felicia, dal fratello Giovanni e dai compagni di lotta, che denunciarono l’omicidio come un chiaro atto mafioso.
Nonostante le evidenze, il caso fu archiviato due volte, nel 1984 e nel 1992, senza individuare i responsabili. Solo grazie alla tenacia della famiglia e del Centro Impastato, l’inchiesta fu riaperta nel 1996, portando alla condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti nel 2002 come mandante dell’omicidio.
Nel 2000, il regista Marco Tullio Giordana portò sul grande schermo la vita di Peppino con il film I cento passi. Il titolo si riferisce alla distanza tra la casa degli Impastato e quella di Badalamenti a Cinisi. Il film, interpretato da Luigi Lo Cascio, ricevette numerosi riconoscimenti, tra cui cinque David di Donatello, e contribuì a far conoscere la storia di Peppino al grande pubblico.
La pellicola mostra il coraggio di un giovane che, nonostante le minacce e l’isolamento, scelse di denunciare la mafia, pagando con la vita il prezzo della verità. La scena finale, con il funerale di Peppino accompagnato da bandiere rosse e pugni alzati, è diventata un simbolo della resistenza civile contro la criminalità organizzata.
Oggi, la figura di Peppino Impastato è un’icona della lotta alla mafia. A Cinisi, la sua casa è diventata un museo della memoria, gestito dall’associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Ogni anno, il 9 maggio, migliaia di persone partecipano a marce e iniziative per ricordare il suo sacrificio e rinnovare l’impegno contro la mafia.
Radio Aut, sebbene chiusa dopo l’omicidio, continua a vivere attraverso l’associazione omonima, che promuove attività culturali e di sensibilizzazione. La sua storia è insegnata nelle scuole, e il suo esempio ispira nuove generazioni a lottare per la giustizia e la legalità.
Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato, è stata invece una figura straordinaria nella lotta contro la mafia. Nata in una famiglia tradizionale siciliana, Felicia ha dovuto affrontare il dramma dell’omicidio di suo figlio Peppino, assassinato il 9 maggio 1978 per le sue denunce coraggiose contro Cosa Nostra. Contrariamente alla consuetudine dell’omertà, Felicia decise di non restare in silenzio. Con tenacia e determinazione, si batté per ottenere giustizia, sfidando apertamente il potere mafioso che controllava Cinisi.
La sua casa è diventata perciò un luogo di memoria e resistenza, aperto a chiunque volesse conoscere la storia di Peppino e la verità sui suoi assassini. Grazie al suo impegno, la vicenda di Peppino non è stata dimenticata, contribuendo al processo contro Gaetano Badalamenti, mandante dell’omicidio. Felicia è morta nel 2004, ma il suo coraggio e il suo esempio restano un simbolo di lotta e dignità.
Ernesto Censere