L’Argante #117 || Gaber, lo ricordo così

Prologo

Affrontare un mostro sacro come Giorgio Gaber non è affatto facile. Del resto sono stati scritti e ancora oggi dopo vent’anni dalla scomparsa escono ancora pubblicazioni, libri, ricordi e anche graphic novel che ci raccontano di lui e del suo lavoro, anzi, per meglio dire della sua opera. Un’opera composta da canzoni, monologhi, riflessioni sulla contemporaneità con slanci quasi profetici sul futuro. Il mio contributo personale è basato sui ricordi, partendo dall’ ascolto dell’album “Il Signor G.” perché è il primo disco che ho sentito, non nel 1971 quando uscì, ero troppo piccolo, ma in una sera d’estate a metà anni 80…

Il primo impatto

Ero sulla 127 color verde palude di un compagno simpatizzante, come me, di un piccolo partito che non esiste più dal 1991 (DP), il segretario era Mario Capanna: molti anni dopo ho scoperto che fra lui e Gaber c’era un amichevole frequentazione. Ma andiamo avanti col ricordo… Come simpatizzanti ci occupavamo anche di fare l’attacchinaggio notturno dei manifesti elettorali, pratica all’epoca al limite della legalità, e in queste serate, fra secchi di colla e spazzoloni, nel mangianastri dell’autoradio, giravano varie  cassette. Quella sera l’amico aveva messo, appunto, “Il signor G.” e sul lato B del nastro c’era “I Borghesi”. Fu una serata memorabile, tipo “Che bello due amici, una chitarra e lo spinello…” e ci siamo ritrovati a cantare  a tutta voce “Vieni Maria Giovanna vieni da meee” oppure “I booorghesi son tutti dei porci…”. Ed è proprio da questa serata disonesta on the road, che mi è venuta la voglia di saperne di più su questo artista, che nella mia ignoranza legavo solo alle canzoni   “Torpedo Blu”, “Goganga”,  “ Barbera e Champagne”. Che vergogna…

L’approfondimento

Ho cominciato a comprare i vinili di Gaber, e disco dopo disco,  anno dopo anno, ho cominciato a conoscere e ad apprezzare la complessità, il disagio, l’ironia, la sagacia, l’irriverenza sorniona, il bisogno di dire le cose come stanno, fondere il proprio pensiero fra filosofia e cose di tutti i giorni,  in una forma chiara diretta a tutti. Così ho scoperto anche, che accanto  all’uomo di spettacolo, c’è un grande complice:  Sandro Luporini, ottimo pittore viareggino, schivo e lontano dalle luci della ribalta. L’incontro fra queste due anime diversissime farà nascere, prima, qualche canzone di musica leggera a metà anni 60 e poi dal 1970 tutta la produzione del Teatro Canzone. Ascoltando cronologicamente i suoi spettacoli registrati dal vivo, mi sono reso conto che, oltre a mettere bene in luce, le emozioni, i tic, le fobie, la meschinità, il coraggio e le contraddizioni dell’essere umano, ci sono riferimenti al periodo vissuto in quel momento: uno specchio critico dei cambiamenti nell’Italia e nelle persone. La mia curiosità innata mi ha spinto, poi, a conoscere anche  l’opera prettamente teatrale firmata Gaber-Luporini: “Il Dio bambino”, “Il caso di Alessandro e Maria”, “Il Grigio”. Dei primi due ho letto solo il testo, del Grigio invece ho il disco, e ho avuto modo di vedere una vhs registrata con una camera fissa, con un video scarso ma un audio buono, dove Gaber fa una generale dello spettacolo in un teatro vuoto… praticamente un raro bootleg. E anche in queste opere, le tematiche sulla persona, la coppia, il pensiero dell’uomo qualunque, vengono sviscerate in modo preciso. Poi ha curato, diretto e interpretato “Aspettando Godot” di Beckett, insieme a Jannacci, Andreasi e Paolo Rossi, e questo mi piacerebbe proprio vederlo ma a quanto so non ci sono registrazioni… ma io sono de’ coccio e continuerò la ricerca, magari salta fuori.

 

Dal vinile al teatro… e finalmente si gode!

 

Firenze, 16 aprile1993, Teatro Verdi. “Giorgio Gaber Teatro canzone ’93” Appena saputo la notizia, mi sono precipitato a prenotare, purtroppo la platea era già esaurita e mi sono accontentato di un palchetto laterale in alto. L’importante era esserci. Dopo il dialogo di “Bambini G.” da dietro le quinte, ecco che arriva sul palco questo signore dinoccolato in giacca e cravatta con la chitarra a tracolla, che intona “Far finta di essere sani” e il pubblico esplode,  si infiamma, si commuove e ride, per più di 2 ore, (quella volta recitò anche “Qualcuno era comunista” uno dei monologhi più apprezzati e conosciuti)  fino al brano di chiusura “Io come persona” con conseguenti scrosci di applausi, Gaber ringrazia ed esce di scena, ma gli applausi continuano , e dopo qualche minuto ritorna in scena senza giacca senza cravatta, e sudatissimo, in camicia, riprende la chitarra e attacca i bis!! Una forza della natura, instancabile e generosa.  Ho avuto modo di rivederlo solo in altri 2 spettacoli, nel 1996 e nel 1998, il primo di nuovo al Verdi ( in platea stavolta) e il secondo nella splendida cornice del Teatro Romano di Fiesole (finalmente in prima fila!). E in una di queste serate, presentò anche il suo brano più contestato “Io se fossi Dio” del 1980 un brano che nessuna etichetta volle pubblicare per il suo tono polemico e a tratti violento verso tutta la  politica italiana. E quindi si rivolse ad un’etichetta specializzata in disco music, e lo fece pubblicare di tasca propria: questo vuol dire non fermarsi davanti a paletti di nessun tipo, se hai qualcosa da dire lo fai senza censure… e anche questa è una bella lezione artistica e di vita. Chapeau! Dopo averlo visto in azione sul palco, anche l’ascolto dei dischi era diventato tridimensionale: riuscivo a immaginare i movimenti del corpo, e le espressioni facciali durante la performance. In quegli stessi anni, facevo serate nei locali, e mi esibivo con solo voce e chitarra, la più genuina formula usata per la canzone d’autore, e a questo punto, non potevo certo lasciare fuori scaletta, le canzoni di Gaber a cui mi ero cautamente approcciato con lo studio dei  suoi brani.

Capodanno 2002/2003

Serata classica fra amici, in casa, fra lasagne, lenticchie, vino e le immancabili chitarre per cantare le canzoni dei nostri cantautori, Guccini De Andrè, Dalla, Bertoli, etc… e anche Gaber… ma si dai! Anche “Barbera e champagne” ci stava bene nei cori stonati della festa.

Il mattino dopo,  un stringato comunicato Ansa, sul televideo, diceva che Gaber non era più fra noi.  Naturale sgomento e incredulità…non può essere vero, ma come? Ma proprio lui? E poi il funerale alla tv, e gli interventi dei colleghi, amici e anche dei suoi detrattori… e in questo carosello di volti, lacrime e parole, forse per consolarmi,  mi venne in mente  la frase finale di un suo monologo… 

“C’è una fine per tutto, ma non è detto che sia sempre la morte”.

I Gaberiani 

 

E infatti Gaber è più vivo che mai! Nei libri, in teatro, e nei numerosi video dei suoi spettacoli. Anche io, nel mio piccolo, ho strutturato un vero e proprio tributo personale, affiancando alle canzoni anche i monologhi. Devo dire che la risposta del pubblico è stata calorosa, e mi ha convinto a farne diverse repliche, nei piccoli teatri e nei circoli culturali, incontrando persone che condividevano con me la loro stessa passione.  Conoscenze che in alcuni casi si sono trasformate in amicizie collaborative, come con Gianluigi Ago, cantautore spezzino, che negli anni 70 è stato vicino a Gaber, e che mi ha invitato  a partecipare con lui, in modo attivo a vere e proprie lezioni-spettacolo su Gaber nelle scuole, a riproporre il mio tributo in varie parti d’Italia. E poi di conoscenza in conoscenza, ho trovato per  strada altri e altre, sia per puro piacere personale o professionalmente, che cantavano, recitavano, esploravano come me il Teatro Canzone di Gaber-Luporini: i/le gaberiani/e appunto.

Nasce Il Festival Gaber

Dopo un anno dalla scomparsa del padre, la figlia Dalia Gaberscik, titolare della Goigest e vicepresidente della Fondazione Gaber, produce la prima edizione del Festival Gaber, sito nella sede della Cittadella del carnevale di Viareggio, una kermesse artistica, presentata da Enzo Iachetti, che prevede come ospiti, cantanti e attori di grande rilievo per riproporre il lavoro di Gaber. Il successo della serata, spingerà gli autori a riproporlo per diversi anni, dal 2004 al 2013. Non potendo certo mancare a questa opportunità, di vedere i nostri big della canzone e del teatro italiano a confronto con Gaber, sono stato nel pubblico per diverse edizioni. Non mi vergogno a dire che a volte mi sono pure imbucato alle conferenze stampa!  (tramite una amica complice di cui parlerò nell’ultimo paragrafo) che si svolgevano il pomeriggio prima del Festival all’Hotel Principe di Piemonte di Viareggio. E così  sono riuscito anche a parlare con i vari artisti  ospiti, e fra i tanti, una volta, accanto a me c’era un signore che conoscevo molto bene: Mario Capanna! ex leader di Democrazia Proletaria e abbiamo fatto una rimpatriata!  Poi ho anche avuto modo di conoscere e parlare con Sandro Luporini: una persona gentile e disponibile, e che mi ha fatto pure i complimenti per il mio impegno nel portare avanti il loro lavoro… e partire dall’ascolto di un’audiocassetta sulla 127 verde palude, e arrivare a questo caro ricordo è molto molto emozionante.

Giorgio Gaber L’ultimo sileno

 

Ora vi presento la mia complice nelle incursioni piratesche alle conferenze stampa: l’amica, scrittrice viareggina, Elena Torre. Ci siamo conosciuti nell’edizione 2008 del Festival, mentre all’ingresso della Cittadella presentava il suo libro dal titolo appunto, “Giorgio Gaber l’ultimo  sileno”, in cui racconta il suo Gaber e, la conseguente frequentazione amichevole nella casa di Montemagno, dove Gaber e Luporini si incontravano per scrivere e progettare i nuovi spettacoli. Parlando con lei, ho avuto modo di conoscere un po’ anche  il Gaber dietro le quinte, il suo lavoro di scrittura,  le ispirazioni e soprattutto il  lato umano. Da queste nostri incontri,  è nata una bella collaborazione, per portare Gaber, nelle nostre possibilità, ovunque, lei armata di  dialettica e dei suoi ricordi  ed io con la mia chitarra per eseguire i  brani del Teatro-Canzone. Voglio chiudere questa serie di ricordi, proprio con un brano tratto da “L’ultimo Sileno”… 

Facemmo mille speculazioni nello studio di Luporini in un pomeriggio piovoso di tanti anni fa, io seduta su una poltrona davanti al Signor G, mentre Sandro mi faceva vedere i suoi ultimi lavori. Parlammo per ore senza accorgerci che il tempo trascorreva veloce, poi Giorgio accendendosi l’ennesima sigaretta e guardando fuori dalla finestra disse: “pensandoci bene credo che il Signor G. sia nato nelle tanti estati che negli anni abbiamo trascorso insieme in Versilia, si sia nutrito delle nostre chiacchere rilassate, delle nostre sigarette.  È nata piano piano la voglia di dire qualcosa, e di non lasciare che le parole restassero solo tali, ma che trasportate in una dimensione poetica potessero rimanere ed essere ricordate”.

E noi cercheremo di ricordarle Signor G.

 

Massimo Blaco

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