L’ Argante #27 Celebration! quando la musica ritorna poesia

I Déjà Vu, ’60/’70 acoustic tribute band

YouTube Compagnia Geneticamente Mortificati – VEDI la Prima Puntata di CELEBRATION

Celebration!:  8 puntate a cadenza mensile, brevi pillole di massimo 8 minuti, che celebrano, a distanza di 50 anni, 8 album che hanno fatto la storia del rock americano. L’ introduzione è affidata a Bruno Casini, esperto musicologo e profondo conoscitore dei tessuti socio-musicali degli anni 70-80 italiani e americani. Bruno ci racconterà gli aneddoti e le trame sotterranee che aleggiano dietro l’incisione dei dischi scelti. Nella seconda parte degli episodi, invece, i testi delle canzoni saranno reinterpretati e tradotti in italiano. Monologhi, poesie, appoggiate sulla musica dei Déjà Vu, tribute band acustica della musica della west cost di quegli anni, che riarrangeranno i brani. In questo modo il significato dei testi potrà avere una luce maggiore. Quante volte abbiamo ascoltato un brano cult rock, famoso, conosciuto, e, assuefatti alla musica, non abbiamo prestato attenzione al testo? Quanti di noi possono dichiarare di conoscere di cosa parla Immigrant Song perché il loro traduttore simultaneo cerebrale gli ha permesso di comprendere parola per parola cosa dicesse Robert Plant?  Partiamo dal presupposto che, spesso, quando si ascolta della musica rock le parole rimangono a servizio del suono e per chi non mastica bene l’inglese vengono associate ad esso in tutto e per tutto. Ci sentiamo appagati dalle chitarre elettriche, dalle voci armonizzate, dagli organi hammond, dai flauti traverso, dagli slides… e ciò che viene detto, francamente, sembra quasi superfluo.  Rileggere i testi della storia della musica degli anni della contro-cultura con una chiave interpretativa quasi drammaturgica ci permette, invece, di assaporarne a pieno l’essenza e ciò che ci raccontano sull’animo umano e sulla storia che sottende a quegli anni.

Celebration! the beginning, ovvero: la musica che non ha età

Chiostro di Lettere e Filosofia, Piazza Brunelleschi, Firenze

Correva l’anno 2002. Fuori dal chiostro di Lettere e Filosofia di Firenze le torri gemelle erano cadute e la gente aveva appena imparato a pagare in Euro. Fuori, perché appena passavi il cancello della facoltà una macchina del tempo ti riportava direttamente negli anni ’70. Erano degli anni ’70 gli intellettuali con gli occhialini alla Gramsci che discutevano animatamente di Marcuse e di Huxley, lo era la libertà di consumare o vendere qualsiasi tipo di stupefacente prima di entrare a lezione seduti liberamente sui muretti in pietra che circondavano il giardino; lo era la musica che usciva dalle casse del bar Okkupato dove sedicenti baristi preparavano panini per pochi spiccioli ad utenti capelloni, fumatori, seduti languidamente a dei tavoli coperti di ritagli di riviste più o meno culturali. E io appena varcavo quel cancello mi sentivo a casa, con i miei 19 anni, i miei vestiti lunghi e colorati, i miei cordoncini intrecciati sulla fronte, i miei libri sulla musica rock di Bob, di Janis, e di tutti i Jim della mia vita. Condividevo con i miei idoli del rock, oltre al guardaroba, gli ideali, la voglia di rivalsa verso il sistema, la fiducia nella lotta di classe, la voglia di vivere, l’ansia di essere e l’incapacità di esistere. Leggevo i testi dei loro brani, li traducevo (è così che ho imparato l’inglese tra l’ altro), li facevo miei. Poesia per me. Poesia che raccontava di un’epoca che non avevo potuto vivere ma che riecheggiava nelle mie vene. Quante volte Dylan aveva cantato anche la mia di rabbia e il mio diniego? E quante altre Simon&Gurfunkel avevano colmato i miei silenzi?

La musica che ti racconta di te

Conobbi CSN&Y grazie a Daniele, un ragazzo vestito da figlio dei fiori, così pachwork da sfidare il kitsh, con una R4 rossa immatricolata, credo, negli anni ’60. Non conoscevo ancora bene il sound della west cost, non potevo immaginare quello che mi avrebbe suscitato non appena l’avessi ascoltato. Scoprì che mio padre, chitarrista, aveva nella sua collezione di vinili 4 way street, Déjà Vu, Wild Tales, Harvest. Ricordo ancora l’emozione a togliere la polvere dalla copertina, la paura di rovinare la puntina sollevandola, il fruscio del disco che girava scoppiettando. Parte la Suite Judy blue eyes e vengo invasa da un suono che da sempre mi era appartenuto, che mi risuonava, che parlava di me a me stessa. Crosby, Stills, Nash&Young più di altri rispecchiavano ciò che ero, nei suoni e nelle parole: parole di lotta, di piccole semplicità quotidiane, di amore libero, di fiducia. Parole che mi prestavano parole. Musica che mi prestava ricordi di un’epoca che non potevo aver vissuto.

La musica come poetica contestazione

La musica rock nasce come strumento di contro-cultura, opposizione  al sistema imperante e autoritario. Gli Stati Uniti, maggiore espressione dell’opulenza e del capitalismo, videro dagli anni ’50 la Beat Generation formare un’identità a cui poter aderire,  anticonformista e di dissenso. Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs, Neal Cassidy e Gregory Corso lasciarono in eredità ai giovani hippies un modello di vita dissoluta da seguire, libera da ogni costrizione, all’insegna della ricerca della vita autentica. A partire dal quartiere di Haight Ashbury di San Francisco fino a tutti gli Stati Uniti i giovani beatnicks degli anni ’60 rivelarono, dunque, i loro intenti sovvertivi in modo originale con manifestazioni pacifiste benedette dal dietilamide dell’acido lisergico (LSD), happenings musicali ovunque, e usando l’arma pacifica del rock contro il governo, le autorità e i valori corrotti della classe media. Quello che i grandi letterati fino a pochi anni prima avevano solo scritto, le generazioni degli anni ’60/’70 lo cantarono, lo suonarono innalzando, così, la poesia a fenomeno quotidiano fruibile da chiunque.  La musica si intrecciò così indissolubilmente con l’atto poetico come non aveva mai fatto prima. La strada di Kerouac aveva preso un nuovo indirizzo, quello dell’immortalità. Come moderni aedi i giganti del Rock stavano spingendo la storia verso una nuova narrativa che avrebbe accompagnato i loro destini nelle orecchie delle generazioni future.

La musica da celebrare

i Dèjà Vu durante le riprese di Celebration! al teatro di Ponte a Ema

Quelle voci devono poter essere ancora oggi ascoltate e soprattutto comprese. Dobbiamo trovare il coraggio di rileggerle ancora una volta. Riassaporarle nella loro essenza poetica, svincolandole dal suono o permettere ad esso di fare da tappeto di sostegno a una totale reinterpretazione. In un momento storico come quello che stiamo vivendo dove sembra che tutto taccia, in cui si fa fatica a capire da che parte stare, in cui i ragazzi sembrano privi di prospettive e in cui anche gli storici, i letterati, i giornalisti si perdono di fronte al presente, credo sia bene prendere in prestito un po’ del coraggio di quei ragazzi che imbracciando una chitarra avevano la presunzione e l’illusione di poter cambiare il futuro; che il ridar loro voce e permettere a tutti di poterla ascoltare possa scuotere le coscienze e ridare speranza a questo genere umano in bilico.

Potrete seguire il progetto sul canale YouTube Compagnia Geneticamente Mortificati e in podcast su Spotify ogni ultimo venerdì del mese da  Aprile a Dicembre. Per info e aggiornamenti visitate il sito www.igenticamentemortificati.com.

 

Serena Politi

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